(Consiglio di Stato, Sez. V, 5.03.2018, n. 1341)

Con la sentenza n. 1341/2018, la Quinta Sezione del Consiglio di Stato, nel confermare la sentenza del T.a.r. Sardegna n. 477/2017, ha statuito che “l’apposizione della firma sul frontespizio dei documenti che compongono l’offerta tecnica (come anche il piano per la sicurezza) è sufficiente a garantire la riconducibilità dell’offerta al concorrente che l’ha presentata, salvo incertezze ulteriori che vanno adeguatamente allegate e provate chi le invoca per contestare l’ammissione alla procedura di altro concorrente”.

In particolare, il Collegio ha ritenuto che la disposizione di cui all’art. 46, comma 1bis D.Lgs. 163/2006, secondo cui “La stazione appaltante esclude i candidati o i concorrenti […] nei casi di incertezza assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell’offerta, per difetto di sottoscrizione o di altri elementi essenziali […]”, va intesa nel senso che “la mancata sottoscrizione comporta l’esclusione del concorrente solo se genera incertezza circa la provenienza dell’offerta. In sostanza, il «per» (nel sintagma «per difetto di sottoscrizione») va inteso come «dovuto a».

Se ne ricava, a contrario, che se il difetto di sottoscrizione non genera incertezze circa la provenienza dell’offerta da un certo operatore, non vi è luogo alla sua esclusione (così Cons. Stato, VI, 27 febbraio 2018, n. 1202; V, 10 settembre 2014, n. 4595). Si tratterebbe, infatti di un formalismo inutile e incongruo rispetto alle finalità di interesse pubblico cui la disciplina della gara è anzitutto orientata”.

Insomma, “un formalismo circa le cause di esclusione, fondato su mere ragioni redazionali dell’offerta e inidoneo a dimostrare il difetto di un buon titolo di partecipazione del concorrente, solo restringe la più ampia partecipazione degli operatori economici alla gara e ne penalizza l’efficienza (cfr. Cons. Stato, V, 9 ottobre 2007, n. 5289); è, dunque, da evitare”.

Sotto il profilo squisitamente processuale, la sentenza in commento ribadisce il principio secondo cui l’art. 101, comma 1, Cod. proc. amm., impone all’appellante di rivolgere “specifiche censure contro i capi della sentenza gravata. “La disposizione è intesa dalla giurisprudenza nel senso che l’appellante è tenuto ad effettuare una critica puntuale alla motivazione della sentenza impugnata, e che non è ammissibile la mera riproposizione, sia pure in diversa veste, delle ragioni a suo tempo esposte nei motivi di ricorso (cfr. tra le più recenti, Cons. Stato III, 26 gennaio 2018, n. 570; VI, 10 ottobre 2017, n. 4823; III, 11 ottobre 2017, n. 4722)”.

In ragione di detto principio, il Giudice d’appello ha precisato che “l’appellante avrebbe dovuto, da un lato, allegare e provare di aver contestato, negli atti di causa, le allegazioni della controinteressata, per cui il giudice di primo grado non avrebbe potuto applicare il principio di non contestazione di cui all’art. 64, comma 2, Cod. proc. amm., e, dall’altro, per porre questo giudice d’appello nelle condizioni di decidere sul motivo, specificare le ragioni per le quali gli elaborati richiamati dalla sentenza (e dunque non più genericamente quelli costituenti l’offerta tecnica della controparte) non presentavano il contenuto loro ascritto”.

Leggi la sentenza:

Consiglio di Stato, Sez. V, 5.03.2018, n. 1341

 

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